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Luis Muriel, genialità e pigrizia

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«Con me non parla finché non avrà un fisico da atleta», diceva undici anni fa – luglio 2012 – il suo allenatore all’Udinese, Francesco Guidolin, aggiungendo che avrebbe dovuto perdere almeno cinque chili. Era l’estate precedente alla prima stagione di Muriel in Serie A con l’Udinese, aveva ventuno anni. Sembra una richiesta legittima, forse addirittura scontata. Ma il punto è: dove sta scritto che per giocare bene a calcio – per giocare splendidamente, divinamente, fenomenalmente – bisogna avere un fisico da atleta?

Negli anni seguenti Luis Muriel si è lamentato dicendo che non era vero (i chili al massimo erano un paio) e che dopo questa uscita di Guidolin ogni volta che giocava male la colpa veniva data alla sua forma fisica – al tempo stesso, va detto, ha confessato di essere uno che “appena mangio un po’ di più” tende ad ingrassare, oltre che uno a cui piace dormire molto. Senza nulla togliere alla sua etica professionale e al suo codice genetico, per giocatori come Muriel non sono l’atletismo né la professionalità le cose che contano veramente. Non quando fa gol come quello di sabato contro il Milan. Magari, appunto, quando gioca male, quando occasioni come queste non gli capitano tra i piedi, allora ci si concentra sul quel ventre sempre un po’ sporgente, sulle sue guance da scoiattolo Disney.


In una partita in cui due suoi compagni hanno sbagliato gol quasi da dentro la porta facendola sembrare una cosa quasi impossibile, Muriel ha fatto un gol incredibile senza apparente sforzo. Con uno sforzo, cioè, non più grande di quello che richiede un passetto di cumbia. Prima de Ketelaere, fronte alla porta, con Maignan praticamente seduto sulla riga, aveva calciato incredibilmente sopra la traversa, finendo incredulo in ginocchio con le mani grosse e rosse su quella faccia pallida così simile al Pifferaio di Manet. Poi persino Lookman che aveva già segnato due gol, dopo un’azione incredibile di Scalvini e un miracolo di Maignan, aveva messo al lato una ribattuta da, boh, mezzo metro?

Quello di Lookman sarebbe stato il gol del 3-1 e invece era arrivato il gol del 2-2 di Jovic. Queste partite di solito finiscono così, nel rammarico e nella delusione. Quando Muriel è entrato, al posto proprio di Lookman, dagli spalti sono arrivati dei fischi.


Il gol con l’Atalanta se la gioca con questo per diventare “il più bel gol di Muriel”.

Invece nel quinto minuto di recupero, dei sei totali, Muriel cambia la giornata di tutti. In peggio, quella dei milanisti, in meglio quella degli atalantini. «Sono giocate che escono al momento», ha detto nel post-partita. «Non ci pensi, perché anche se lo alleni non sai quando ti capita un’occasione così… essere un po’ defilato, con la palla all’indietro, che non riuscivo a coordinarmi in un’altra maniera».

Le spiegazioni razionali di gesti tecnici così istintivi e sorprendenti di solito sono banali, è interessante però quello che sottolinea Muriel: anche se questo tipo di cose le prepari, anche se in teoria le sai/puoi fare, ti deve comunque capitare la situazione giusta. Se la palla di ritorno di Miranchuk non fosse stata così stretta, strozzata quasi e addosso alla corsa di Muriel, se non fossero stati così laterali sul centro-destra, e così vicini alla porta, Muriel avrebbe dovuto per forza di cose provare qualcosa di diverso.

Detto questo, avrebbe comunque potuto provare qualcosa di diverso. Con un tocco in più avrebbe potuto calciare sul primo palo o magari provare un pallonetto di collo, con una torsione sicuramente più naturale di quella necessaria al tacco, e quantomeno avrebbe visto dov’era la porta. Muriel ha scelto di calciare dando le spalle a Maignan, senza guardare, senza pensare, prendendo tutti di sorpresa, probabilmente anche se stesso. Incrociando i piedi con un movimento d’anca che ricorda quelli con cui esulta ballando la cumbia, la danza tipico della costa caraibica colombiana dove è nato e (vendendo biglietti della lotteria per pagarsi quelli dell’autobus che lo portava ad allenarsi) cresciuto.


Uno dei primi grandi gol di Muriel in Serie A.

I grandi gol di Muriel sono sempre accompagnati dal pensiero di cosa sarebbe potuto essere. Come se invece di esultare i commentatori e i tifosi gridassero tutti insieme: “Che spreco!”. È drammatico, sportivamente parlando, perché toglie gioia a dei momenti che dovrebbero essere solo gioia calcistica. E stiamo comunque parlando di un giocatore che tra il 2019 e il 2022 ha segnato 59 gol, quindi questa idea di spreco andrebbe quanto meno relativizzata.

I suoi grandi gol però sono tutti frutto delle circostanze. Le qualità erano evidenti, atletiche oltre che tecniche, la velocità in conduzione, quel controllo del pallone che sembra legato ai suoi piedi con un elastico invisibile lungo mezzo metro, le sterzate che spezzano le caviglie e la conclusioni sempre precise, esplosive, con il destro e con il sinistro. Doveva succedere qualcosa, però, affinché Muriel attivasse i suoi poteri. Gli doveva arrivare la palla con lo spazio davanti, o dietro, con il difensore che lo spingeva a trovare la soluzione creativa (tipo il tacco contro la Sampdoria con la maglia della Fiorentina, gennaio 2019). Muriel deve essere provocato. Se volete, questa può essere considerata una specie di passività.

Guidolin disse quella cosa sul peso di Muriel poco dopo che Serse Cosmi, l’allenatore nella stagione precedente in prestito al Lecce, lo aveva paragonato a Ronaldo. In così poco tempo si sono fissati i due estremi di Muriel: il fenomeno e il giocatore indolente. Uno dei migliori attaccanti al mondo, almeno in potenza, o quanto meno quando gli pareva a lui – «Sai chi segna gol come il tuo ogni domenica?», aveva detto Cosmi, marcando subito la questione della frequenza – ma anche un talento sprecato fin da subito.

Luis Muriel è sempre stato entrambe queste cose. Alternando stagioni o momenti da fenomeni a stagioni o momenti da giocatore finito anzitempo.

Uno dei primi grandi gol di Muriel in assoluto, al Mondiale Under 20 (prima di esordire col Lecce), contro la Francia. Il giocatore che scivola sull’olio che Muriel ha fatto cadere al limite dell’area è Kalidou Koulibaly.

Di Ronaldo, Muriel è stato una specie di doppio difettoso. Una copia quasi del tutto identica, con alcune movenze e gesti quasi perfettamente sovrapponibili (gli arresti sulla monetina, in cui passa da cento chilometri orari a zero nello spazio di mezzo metro; i tiri sul primo palo dopo che rientra sul destro), ma in grado di ingannare solo l’occhio meno esperto. Una banconota falsa, fatta molto bene per carità, ma che non passa il controllo dei lettori al tabaccaio.

Se Muriel ha bisogno che la vita lo spinga a osare, Ronaldo “il fenomeno” resterà per sempre l’archetipo del giocatore in grado di rompere qualsiasi blocco, di fare tutto da solo partendo da ogni punto del campo, come il serpente di Snake quando ha riempito quasi tutto lo schermo del Nokia. Se Ronaldo è stato limitato dalla sfortuna, dalla paradossale fragilità che nascondeva il suo talento, riempiendoci di malinconia, Muriel ci fa incazzare perché si è limitato da solo.

O almeno è questo quello che pensiamo. Lo ammiriamo quando fa cose incredibili, lo guardiamo con scetticismo, senza fiducia, quando non le fa.

Certo se siamo ancora qui a parlare di lui a trentatré anni una certa costanza gli va riconosciuta, ma il suo talento è oggettivamente un piccolo manifesto di pigrizia. Ci ricorda come tra la genialità e la costanza è sempre e comunque la prima che dovremmo preferire.

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