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In cosa è migliorato Dusan Vlahovic nel 2021

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Nel 2021 l’attaccante serbo ha migliorato tutti i suoi numeri.

Quando ormai due anni fa Dusan Vlahovic è comparso nel calcio italiano volevamo fortissimamente fosse un fenomeno. La sua presenza, da sola, era così suggestiva. Un centravanti serbo cresciuto nel Partizan Belgrado, fisico da nove con piedi da dieci. Una corsa potente e lapidaria, un tiro sempre violento e sopra le righe. La mascella forte da pugile, gli occhi stretti da bambino, qualcosa del cavaliere medievale al galoppo contro le difese avversarie elmo alzato e lancia tesa. Un anno e mezzo fa non aveva neanche vent’anni e già esultava in maniera provocatoria: dopo uno strepitoso gol all’Inter la sua faccia aveva preso un’aria drammatica vicina alla tristezza, gli indici alle orecchie. Era appena arrivato e già pensava di essere trattato ingiustamente. Aveva già seguito tutto il ciclo di lavaggio di un giovane talento: gol all’esordio (contro il Monza in Coppa Italia), sparizione, polemiche, i titoli “Mistero Vlahovic”, la ricomparsa rabbiosa.

Quel gol all’Inter era quello che Dusan Vlahovic aveva usato per vendersi al nostro cuore. Aveva ricevuto palla qualche metro dietro la linea di centrocampo e dopo un primo controllo rugginoso era partito di corsa, idee chiare e semplici. Skriniar lo rincorre ma è leggermente più lento di lui pur non avendo il pallone, ma a un certo punto riesce a prendere contatto col suo corpo,  e a quel punto possiamo considerare Vlahovic spacciato. Quanti attaccanti riescono a resistere alla pressione fisica di Skriniar mentre si sono lasciati andare alla massima velocità? Invece Vlahovic resiste, e Skriniar fa quello che deve fare: lo porta verso l’esterno, gli riduce lo specchio della porta, e proprio mentre quello sembra ormai ridotto all’occhiello di un film, Vlahovic trova un tiro teso che vola verso l’incrocio dei pali. Ha tirato in maniera leggermente imprevista, con il pallone un tantino sotto il piede, ed è riuscito ad alzarlo da terra con l’interno come fosse un Supersantos sulla spiaggia. Quando un giocatore ci sembra manomettere qualche legge della fisica, giustamente pensiamo che abbia qualcosa di speciale. Lo stadio era pieno, Montella era sulla panchina della Fiorentina, per dire il tempo che è passato.

Fino a quel momento Vlahovic era solo un’idea, ma da lì lo abbiamo aspettato per capire se quello non fosse un singolo momento di grandezza oppure il segno di un giocatore che avrebbe reso la grandezza un’abitudine. Eppure non era scontato. Ci sono giocatori capaci di produrre momenti di brillantezza abbagliante eppure rara e sparuta, che squarcia carriere altrimenti medie e poco significative. Giocatori in grado di accedersi in giocate risolutive dentro partite giocate con poco senso.

Avevo scritto di Vlahovic dopo quel gol all’Inter e più o meno mi domandavo queste cose, cercando di capirci qualcosa tra tutti i discorsi sulla predestinazione che lo riguardavano e una serie di partite ambigue. Aveva avuto singoli momenti di grandezza, ma aveva anche mostrato limiti evidenti in aspetti del gioco difficilmente migliorabili. Innanzitutto il gioco spalle alla porta: un primo tocco sempre un tantino faticoso, una postura del corpo sempre un po’ disperata, più attenta a prendere spazio col difensore che a concentrarsi sulla ricezione del pallone. Sempre un’impressione di fatica sproporzionata, di ansia.

Guardando le partite di Vlahovic oggi, quell’aspetto del suo gioco è rimasto problematico. È un attaccante a disagio spalle alla porta, che sembra dibattersi in uno spazio non suo. Nel duello corpo a corpo è sempre schietto e diretto, mai elusivo; nel primo tocco usa spesso l’esterno del sinistro o la suola, ma l’uso di un solo piede lo limita molto e lo rende prevedibile. Una volta che è riuscito a girarsi, però, trova tutta un’altra confidenza, un’ambizione notevole, una buona reattività sui primi passi, una grande capacità di progressione, un piede sinistro sempre preciso e mortifero nel tiro. A volte l’ambizione lo divora, facendolo cadere in tentativi esagerati.

Questi limiti di Vlahovic sono ancora lì da un anno e mezzo, ma nel frattempo è successa una cosa non indifferente per un attaccante: Vlahovic ha iniziato a segnare, e a farlo spesso, in modi diversi, alternando finalmente i gol belli con quelli brutti. La svolta è arrivata nel 2021: in quest’anno solare ha segnato 11 gol in 16 presenze; contro gli appena 3 segnati nella parte di stagione giocata nel 2020. Tutte le sue reti sono arrivate da dicembre in avanti, da quando ne ha segnati 14 in 21 presenze. Sta finalmente trovando anche un ritmo nelle marcature multiple: 3 gol contro il Benevento, 2 contro l’Atalanta. E insomma ignorare i suoi miglioramenti è diventato impossibile: Vlahovic sta somigliando sempre di più all’immagine che avevamo di lui quando si è presentato ai nostri occhi. Rispetto allo scorso anno è migliorato in maniera significativa negli smarcamenti in area di rigore e nella selezione di tiro. Gli xG per novanta minuti sono passati da 0,43 a 0,46, pur diminuendo i tentativi verso la porta, passati da 3,84 a 2,90, praticamente un tiro in meno a partita. Ma se vogliamo guardare ai numeri di Vlahovic, dobbiamo per forza notare il cambiamento che c’è stato tra un anno solare e l’altro. Nel 2020 Vlahovic ha avuto 0,20 xG per novanta minuti, nel 2021 0,66; la sua efficienza sotto porta è passata da 0,41 a 1,16, e questo è il dato più significativo.

Nella prima parte della stagione Vlahovic aveva comunque numeri significativi negli xG, ma segnava troppo poco. Come rendimento sotto porta, fino a gennaio, solo Kevin Lasagna aveva fatto peggio. Quella che stiamo vedendo però è più di un avvicinamento alla media: se guardiamo solo i dati del 2021 Vlahovic è diventato un attaccante estremamente freddo al momento di concludere ed è difficile capire se sarà sempre così o se sta vivendo un momento di particolare grazia. Di sicuro la forza e la precisione del suo piede sinistro lo rende in grado di battere potenzialmente le statistiche. Due dei suoi ultimi gol sono particolarmente significativi della capacità di Vlahovic di realizzare occasioni piuttosto complicate. Contro il Genoa, alla prima del ritorno di Iachini, è corso davanti al difensore per concludere di prima a incrociare sul secondo palo un pallone che rimbalzava. Uno di quei gol che solo lui può far sembrare semplici. Contro il Benevento, in una partita in cui ha segnato la sua prima tripletta in Serie A, ha vinto un duello corpo a corpo con Glik riuscendo a divincolarsi – il tipo di azione che prova spesso ma che ancora gli riesce poco -, ma a quel punto ha quattro avversari attorno. Prova un tiro che sembra velleitario da più di venti metri: una conclusione che nel suo effetto a rientrare non perde un briciolo di forza.

È difficile non entusiasmarsi dopo gol di questo tipo, realizzati da un ragazzo di vent’anni che gioca centravanti come vorremmo che giocassero i centravanti: con l’idea pazza di caricare le difese avversarie ogni volta che prendono palla, da qualunque zona di campo. Vlahovic non è tra quei numeri nove che si muovono con calma zen tra le difese avversarie, giocando per i compagni con precisione e senso dell’ordine; si muove scattando e sgomitando, provando sempre giocate decisive. È un giocatore feroce e caotico, e questo è al contempo il suo limite e la sua forza, e soprattutto il bello di vederlo all’opera. Non stupisce che dice di guardare molto i video di Erling Haaland – altro attaccante che gioca come un cavallo -: «Lo guardo, cerco di capire come si muove e come finalizza. Però poi mi concentro sui miei punti forti e deboli». Uno di questi è la precisione del suo gioco: ha meno del 70% dei passaggi riusciti, è la prima punta che perde più palloni in Serie A. Numeri di certo pompati dal contesto di una Fiorentina spesso sciatta e sconclusionata, sempre messa male sul campo e che pare fare fatica fisica.

Dentro una squadra del genere, Vlahovic può permettersi anche di continuare a giocare un calcio estemporaneo, fatto di momenti; e la confusione tattica forse gli ha anche permesso di prendersi più responsabilità accelerando la sua crescita. D’altra parte potrebbe aver rallentato lo sviluppo di alcune parti del suo gioco più complesse – che in ogni caso ha ancora tutto il tempo di sviluppare. Del resto frenare l’impeto con cui gioca potrebbe non essere una buona idea. Quando parla dei suoi punti deboli cita il colpo di testa: «Non è bello essere alto un metro e 90 e non far gol di testa» ha detto come se sentisse un senso di colpa che prova a colmare con l’etica del lavoro. «Ogni giorno provo qualcosa di diverso: i tiri di destro, lo stop spalle alla porta, l’uno contro uno e il dribbling. Il segreto è ripetere i movimenti all’infinito. Anche Ronaldo lavora sempre per migliorarsi, è la strada del campione». Da quanto dice, sembra ossessionato dal miglioramento personale. Ha confessato che dopo aver visto Ribery in allenamento si è detto: «Amico svegliati, qui non ci siamo». Eppure non ci sono molti giocatori della sua età ad aver ottenuto i suoi risultati: è il primo nato nel 2000 ad aver raggiunto i 20 gol in Serie A; gli unici 2000 a essere andati in doppia cifra di gol quest’anno, tra i cinque maggiori campionati europei, sono Haaland e Gouiri. Cesare Prandelli, fondamentale per la sua crescita («Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse fare qualcosa di così grande per me»), ha detto che è più forte di Adriano alla stessa età. La doppietta segnata contro l’Atalanta è particolarmente significativa perché arrivata in coppia con Kouamé, che gli ha servito uno splendido assist per il secondo gol; i due hanno giocato poco insieme, eppure sembrano completarsi bene, con Kouamé più bravo a lavorare spalle alla porta, pulire i palloni e aprire spazi per il serbo.

Da mesi si parla del suo rinnovo, anche se lui dice non sia giusto parlarne con la Fiorentina in una brutta posizione di classifica. Il contratto gli scade a giugno del 2023 e le pretendenti sono tante. La Juventus per affiancarlo a Morata, la Roma per il dopo-Dzeko, il Milan con Ibra a fargli da chioccia («Mi ha scritto in serbo per farmi gli auguri. È stato unico»). Sarebbe romantico però che la sua crescita andasse insieme a quella della Fiorentina; non vederlo più come un corpo estraneo troppo superiore al contesto, come negli ultimi mesi, ma come il valore aggiunto di una squadra organizzata attorno a idee e principi chiari. Sarebbe importante anche per la sua crescita, cominciarsi a vedere come la parte di un tutto.

 

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