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Attaccanti che non segnano mai

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È difficile scendere a patti col dramma personale di un attaccante che non segna, che non riesce a segnare. Vederlo sbagliare gol semplici, tirare in maniera sbilenca, o troppo fiacca, o troppo forte, sbattere di continuo sui propri limiti. È uno degli spettacoli più duri e goffi del calcio. Un centravanti che non segna è un errore, una contraddizione esistenziale. L’attaccante è in campo per finalizzare le azioni, per mettere a frutto il lavoro della squadra, e se manca questo compito non solo la sua utilità è monca, ma persino il suo ruolo esistenziale vacilla. Subentra il “blocco psicologico” che somiglia al blocco dello scrittore di fronte alla pagina bianca. Come se si fosse chiusa una vena d’ispirazione, quella che mette in comunicazione l’attaccante col divino, e che gli permette di segnare. A quel punto l’attaccante si sente inadeguato, vittima di un complotto, di una persecuzione. Ogni errore gli sembra più assurdo del precedente e – come scrivevamo in un vecchio articolo – pare che “sbagliando si impara sbagliare”.

 

Ci sono gli attaccanti che smettono di segnare, e poi ci sono quelli che non hanno mai segnato. Sono due categorie diverse, e la seconda ha qualcosa di ancor più paradossale ed estremo. Certo, siamo in un’epoca calcistica sofisticata e la presenza di un giocatore in campo non può ridursi a una sola pratica, nemmeno se è la più importante (fare gol). Tuttavia un attaccante che non segna mantiene qualcosa di contrario all’ordine naturale delle cose.

 

Basterebbe in fondo anche la semplice prossimità fisica a permettere a un attaccante di trovare il gol più facilmente. A volte il suo corpo è quello che si presterebbe meglio a fare da sponda tra la palla e la porta avversaria. Per questo talvolta la mancanza di gol di un attaccante appare così cronica da suonare sfacciata, un affronto. Certi attaccanti sembrano farlo apposta a non segnare, sembrano provarci gusto.

 

In questo articolo ho messo insieme una lista di attaccanti che in questa Serie A hanno sviluppato un rapporto patologico con la porta avversaria: disperazione dei loro fantallenatori, perversione degli allenatori che continuano a schierarli nonostante non segnino. Le loro partite come quello spettacolo di Beckett in cui si aspetta fiduciosi il materializzarsi di una possibilità che non accade mai veramente. Le occasioni da gol come una tortura per attaccanti che hanno sviluppato una specie di cinismo rovesciato, una prodigiosa capacità di sbagliarle tutte.

Sam Lammers

La Sampdoria è scesa in campo 32 volte, e per 12 volte non ha segnato. Una partita su tre un tifoso della Samp non ha diritto all’unità minima della gioia calcistica, quella del gol. Con 20 reti segnate i blucerchiati hanno ancora la possibilità di centrare il record storico di peggior attacco di sempre in Serie A – per ora detenuto dal leggendario Treviso 2005/06 e dal Cesena 2011/12.

Nel girone d’andata era già chiaro: l’attacco era il problema principale della Sampdoria. Con Quagliarella tristemente a secco, e il solo Gabbiadini capace di dare qualche segnale di vita, la società – o quel che ne rimane – decide di intervenire sul mercato. Bisognerebbe capire qual è il processo mentale che ha portato a immaginare Sam Lammers come a una soluzione. “Segnamo poco? Beh, allora compriamo Lammers”.

Fino a quel momento Lammers aveva messo insieme poco meno di mille minuti in Serie A, e li aveva conditi con appena un gol. Un tiro deviato contro la Salernitana che era valso il pareggio. Per il resto aveva espresso tutta l’inconcludenza del suo talento: un giocatore dalla corsa elegante, dalla tecnica davvero niente male. Buon fisico, buona velocità, bel casco di capelli ricci: nessun punto debole apparente. Non c’è niente, sembra, che Lammers non possa fare, a parte segnare.

Lammers, infatti, non segna mai, da sempre. Tolta una miracolosa stagione con l’Heerenven da 16 gol, il suo record di gol in campionato è DUE. Record già eguagliato in realtà in questa stagione, quando ha trovato il primo gol con la maglia doriana, di testa contro la Cremonese. Un bellissimo gol festeggiato sotto la gradinata sud, che ci ricorda che forse non è importante segnare tanti gol ma segnarne pochi e goderseli. Del tipo: “Quando segni e sei felice, facci caso”.

I tiri di Lammers sono sempre troppo deboli, oppure troppo forti. Quasi sempre calcia fuori equilibrio, persino cadendo, come se qualcuno gli mettesse una buccia di banana sotto ai piedi prima di tirare. Ci sono calciatori che cadendo trovano un equilibrio tecnico miracoloso, ma Lammers invece semplicemente implode.

Nell’ultima partita contro la Fiorentina aveva una palla sul suo piede, il destro, appena all’ingresso dell’area di rigore. Una palla che arriva bella comoda per essere calciata. La palla che vorreste avere voi sul vostro piede nel vostro esordio immaginario in Serie A. Lammers l’ha calciata di interno in un punto indefinibile dell’aria, con un imprecisione che sembra implausibile per l’interno piede di un calciatore professionista. Nel video di highlights della partita si sente una voce anonima in sottofondo che sghignazza: «Oh oh oh dove l’ha mandata».

 

Isaac Success

Quando ha segnato il suo primo gol in Serie A, quasi 1800 minuti dopo l’inizio della stagione, è stato un evento speciale. Qualcosa di tanto atteso quanto insperato, come il lancio del primo razzo di Elon Musk dopo quattro tentativi falliti. Un tiro sul secondo palo secco e preciso, contro la Cremonese, facile come dovrebbero essere i gol degli attaccanti bravi come Success.

 

Il nigeriano incarna alla perfezione l’ideale dell’attaccante che non segna mai perché non si può dire sia scarso. È un giocatore che, a vederlo giocare, diresti che non gli manca niente. Sottil lo ha fatto giocare molto, anche di più dello scorso anno, e il fatto che non sia riuscito a segnare ha qualcosa di insensato – specie in una squadra in fondo molto prolifica sotto porta come l’Udinese, la squadra che attacca l’area con più giocatori in Europa.

Success vanta l’impressionante 3% di conversione dei suoi tiri. Gli unici giocatori che fanno peggio sono Calhanoglu – che però è un centrocampista e calcia molto da fuori – e, come potreste immaginare, Kevin Lasagna. Solo il 14% dei tiri di Success sono dentro lo specchio della porta.

 

Andrea Belotti

Al massimo delle proprie potenzialità Andrea Belotti scoppiava di salute. Correva senza sosta per novanta minuti, sempre al massimo della velocità, con una grinta che a tratti sfiorava la disperazione. Pressava tutti, su ogni palla. E poi quando gli arrivava un cross saltava a dieci metri da terra, sopra la testa di marcatori dieci centimetri più alti di lui; oppure si arrampicava nei cieli, in rovesciata, tirando sottosopra con una potenza che la maggior parte dei giocatori non raggiungono nemmeno da dritti. Pochi giocatori hanno incarnato meglio l’antica idea del centravanti che abbassa la testa e carica la difesa cercando di piegare la realtà al suo volere. Senza particolari doti tecniche, Belotti aveva bisogno di accomodare la realtà a forza di scatti e spintoni.

 

Quest’estate è stato strano vederlo per diversi mesi senza contratto. I problemi fisici ne avevano chiuso, o almeno ristretto, la vena realizzativa nel suo ultimo anno al Torino. Era comunque riuscito a segnare 8 gol. È stato diverso tempo senza contratto, ha atteso che la Roma gli costruisse attorno lo spazio salariale, e poi si è vestito di giallorosso, salutato come un idolo.

 

Siamo a maggio e Belotti non ha ancora segnato in Serie A. Ha segnato 1 gol in Coppa Italia, 3 in Europa League, ma nessuno in campionato. È l’attaccante della Serie A ad aver accumulato più xG senza aver segnato. Non tira moltissimo, meno di 2 tiri ogni novanta minuti, ma è comunque peculiare per un attaccante fare più di dieci tiri in area di rigore senza riuscire a segnare.

 

Per il resto Belotti continua a giocare come ha sempre fatto: correndo a perdifiato su ogni palla, scegliendo di non risparmiarsi fino all’autolesionismo. Si butta su tutti i contrasti aerei, si getta in pressing sui difensori come se fosse una macchinetta a scontro. Le sue partite sono tutte scivolate, duelli in velocità, cadute rovinose. Belotti che rimane a terra con le mani a terra dopo uno scontro durissimo – il più delle volte nato dalla durezza incosciente con cui si butta nei contrasti. Non c’è attaccante più rappresentativo di questa Roma davvero poco spettacolare, quasi incapace di far gol, ma battagliera, ruvida, durissima da battere. Belotti gioca con lo spirito di un mediano degli anni ’90, però in attacco. Da solo pressa per due, si lancia in scatti disperati sulle fasce, poi tira male, sbaglia tutto ma non fa niente, ricomincia. L’altro giorno, contro il Milan, si è rotto una costola. Ha infortuni da incidente in moto, più che da calciatore.

Belotti ha segnato più di 100 gol in Serie A, è il secondo miglior marcatore della storia del Torino, mettere in dubbio le sue doti realizzative è da pazzi. Eppure qualcosa sembra essersi smarrito per sempre nel suo gioco, che senza gol ha preso a brillare di una luce paradossale ma comunque gloriosa.

 

Kevin Lasagna

Stiamo parlando del Pelè degli attaccanti che non segnano mai, del Maradona dei tiri sbilenchi, del Michael Jordan delle occasioni sprecate. Lasagna Pallone d’Oro di un calcio alla rovescia, in cui i centravanti vengono celebrati per segnare mai. Abbiamo già scritto varie volte della sua cronica incapacità di segnare. Così sfacciata, ottusa, da sembrare frutto della sua volontà – e non allora della sua sciatteria, della sua imprecisione. Ci siamo anche interrogati sulle ragioni tecniche, o mentali, o fisiche, di questa sua incapacità di far gol.

 

(Resto della mia idea: Lasagna ha un problema tecnico nel tiro, ma ha anche una drammatica tendenza a fare scelte tecniche sbagliate. Per semplificare, il più delle volte tira troppo forte rispetto a quello che servirebbe).

 

È di cattivo gusto continuare a scrivere di Kevin Lasagna, e allora limitiamoci a sottolineare la sua costanza, la sua mentalità. Qualche giorno fa contro il Bologna una delle sue azioni manifesto. C’è un lancio perfetto di Verdi dietro la difesa. Lasagna è velocissimo, prende alcuni metri al pur veloce Kyriakopoulos. La aggiusta con l’interno sinistro a seguire. Era uno stop difficile, ma Lasagna lo esegue alla perfezione per preparare il tiro di destro. C’è un momento, se fermate l’immagine, in cui il gol sembra l’unico esito possibile dell’azione.

Non si capisce cosa succede. La realtà stessa sembra aver un arresto, un infarto, Lasagna non tira, o tira pianissimo, non si capisce. Ovviamente cade. La palla rimane là, rotola tra le mani di Skorupski. È sempre drammatico il contrasto fra la qualità con cui Lasagna prepara il tiro, e poi il risultato finale. Zaffaroni sembra intenzionato a risolvere questo enigma storico del nostro campionato, visto che ultimamente ha provato a far giocare Lasagna esterno sulla fascia. Siamo all’alba di una nuova era?

 

Anche quest’anno Lasagna è sul Monte Olimpo dell’underperformance offensiva, anche se c’è un attaccante che ce la sta mettendo tutta per batterlo.

 

Andrea Petagna

Petagna è uno dei massimi rappresentanti dei giocatori forti nonostante non segnino mai. Il giocatore di cui l’allenatore dice che “lavora per la squadra”, che “lega il gioco” ed è tutto vero. Per un paio d’anni Petagna però riusciva anche a segnare, visto che è andato in doppia cifra per due anni consecutivi con la maglia della SPAL. Poi qualcosa si è inceppato. I due anni al Napoli, dove ha fatto la riserva, lo hanno arrugginito forse, lo hanno impigrito. Petagna ha avuto un po’ di problemi fisici, ma quando è rientrato ha fatto una fatica immensa a segnare: solo 2 gol in 1400 minuti.

 

Quest’anno era uno dei pezzi pregiati del calciomercato del Monza che si è salvato con 6 giornate d’anticipo anche senza i suoi gol. Forse con i suoi gol si sarebbe qualificato in Europa.

 

Krzysztof Piatek

Piatek è il giocatore che ha segnato meno gol rispetto a quelli che avrebbe dovuto segnare in Serie A. Di solito è uno di quei dati che contengono una doppia lettura: non ci sarebbero occasioni, in fondo, se un attaccante non fosse bravo a procurarsele.

 

Piatek ha segnato 3 gol in Serie A: numeri impressionanti per questa lista, che lo rendono il capocannoniere tra gli attaccanti che non segnano mai. Per realizzarli ha avuto bisogno di 50 tiri. Significa che Piatek fa gol ogni 16 tiri e mezzo. Sono numeri che assumono un senso quasi comico, se confrontati con quelli del suo compagno di reparto, Boulaye Dia, che segna invece ogni 3 tiri e mezzo, giocatore più in overperformance della Serie A.

 

Piatek e Dia come due strani Stanlio e Olio statistici, uno che non segna mai e uno che segna sempre, uno chirurgico, giapponese, marziale, e l’altro impreciso, confusionario, caotico. L’incarnazione del meme “Perfettamente bilanciato”.

 

C’è stato un tempo che i più anziani di voi ricorderanno in cui anche Piatek segnava con ogni tiro provato. È stato un tempo piccolo, durato lo spazio di qualche mese. Piatek aveva segnato 8 gol nelle prime 6 partite in Serie A. Questa straordinaria prolificità rendeva accettabile l’altrimenti imperdonabile mancanza di ironia che si portava dietro: il sorriso sinistro, il taglio di capelli da militare, l’esultanza enfatica con la doppia pistola fatta esplodere scivolando. Oggi Piatek esulta ancora con le pistole, ma sempre più di rado. Quando succede, però, ci tiene a riprodurre questa gestualità ormai logora, un rito stanco. Un’esultanza che ha il potere paradossale di ricordarci quanto sia raro un gol di Piatek.

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