C'ERA UNA VOLTA

C’era una volta Redondo: il fragile Principe argentino

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Fernando Redondo – il Principe argentino – nasce a Buenos Aires il 6 giugno del 1969. Un centrocampista di classe sopraffina che ha incantato con la maglia del Real Madrid, con cui ha conquistato 2 Champions League, e con quella della Nazionale argentina, portata al trionfo in Coppa America nel 1993. Per Redondo anche un trascorso in Italia con la maglia del Milan, periodo che però i tifosi rossoneri e tutti gli appassionati di calcio ricordano soprattutto per il susseguirsi di infortuni che hanno tenuto Fernando lontano dai campi praticamente per quasi tutta la sua esperienza nel nostro campionato. I problemi fisici spinsero l’argentino a scegliere la via del ritiro nel 2004 a 35 anni, ma molte sue giocate – come il magnifico dribbling di tacco contro il Manchester United – resteranno per sempre nella storia di questo sport. Così come le peculiarità del suo carattere, la passione per la letteratura e la clamorosa esclusione da Francia 1998 per via del taglio di capelli.

Gli inizi: Argentinos Juniors e Tenerife. La carriera di Redondo comincia tra le fila dell’Argentinos Juniors, il club che vide germogliare anche il talento di Diego Armando Maradona nonostante i due argentini siano diametralmente opposti tra di loro, soprattutto per estrazione sociale. In patria, prima con le giovanili e poi aggregandosi alla prima squadra, il regista inizia a farsi notare per la classe delle sue giocate e per la delicatezza del suo mancino, attirando le attenzioni di formazioni europee come il Tenerife che lo ingaggiò nel 1990. Il centrocampista mostra sin da subito una grande maturità, riuscendo a dirigere con autorità la manovra di squadra e mostrando quel controllo di suola che lo ha reso celebre, ma i risultati con il club iberico stentano ad arrivare. La squadra si piazza rispettivamente al quattordicesimo e al tredicesimo posto nei due campionati successivi. Andrà meglio nelle successive due stagioni in cui il Tenerife centrerà la storica quinta posizione in graduatoria e verrà eliminato dalla Juventus agli ottavi di Coppa Uefa. La ribalta spagnola per Redondo non finirà qui: nel 1994 il giocatore finirà al Real Madrid.

L’apice con il Real Madrid. In maglia Blanca, grazie anche alla presenza del suo mentore Valdano – già allenatore del giocatore ai tempi del Tenerife – Redondo sfodera il meglio del suo repertorio: assist, visione di gioco e la capacità di dirigere il reparto riuscendo ad essere sempre al centro della manovra sia in fase di impostazione che in fase di recupero della sfera. In una Madrid dove il titolo nazionale mancava da quattro anni, l’argentino riporta subito il successo. Poi ci saranno gli anni di Capello, di Heynckes e del dribbling da urlo: quello nei confronti di Berg in un celeberrimo Manchester United – Real Madrid vinto dagli spagnoli per 3 a 2 nella stagione 1999/2000. L’argentino mise in scena un numero di prestigio sulla fascia laterale, un taconazo come sarebbe stato denominato in Spagna, che disorientò completamente il suo marcatore diretto consentendo a Redondo di servire a Raul un prezioso assist per il gol vittoria nei quarti di Champions League contro i campioni in carica. Il Real dei Galacticos vincerà quella edizione della coppa sconfiggendo nel derby iberico il Valencia di Cuper e riportando la coppa dalle grandi orecchie nella capitale dopo 32 anni, e proprio Redondo sarà eletto miglior giocatore del torneo. Gli anni a Madrid segnano letteralmente l’esplosione dell’argentino che si carica sulle spalle il gioco delle Merengues e li conduce alla conquista in totale di due Champions League, due campionati nazionali e della Coppa Intercontinentale del 1998.

La sfortunata avventura in Italia. Redondo sbarca in Italia nell’estate del 2000 per una cifra vicina ai 35 miliardi delle vecchie lire. Approda in una squadra reduce dal terzo posto in campionato, alle spalle di Lazio e Juventus, e dall’eliminazione europea contro il Galatasaray nella fase a gironi della precedente Champions League, con il chiaro obiettivo di rivitalizzare l’ambiente. La sfortuna però si accanisce sul talento argentino che rimedia, al primo allenamento con i nuovi compagni, un infortunio al crociato del ginocchio destro che lo costringe ad un autentico calvario: il rientro in campo, infatti, dopo l’intervento viene posticipato di settimana in settimana e sembra non arrivare mai fino al 3 dicembre 2002, giorno della prima partita ufficiale con il Milan contro l’Ancona negli ottavi di andata di Coppa Italia in cui Redondo gioca 45 minuti. La scena si ripeterà qualche giorno dopo contro la Roma in campionato – precisamente il 7 dicembre 2002 a San Siro – quando subentrerà tra gli applausi del pubblico a Shevchenko per i 7 minuti finali. Tuttavia il conto dell’esperienza con la maglia del Diavolo è impietoso: 16 presenze in 4 anni. Sarà l’ultima camiseta che l’argentino indosserà in carriera: nel 2004 infatti Redondo appenderà le scarpette al chiodo nella leggendaria sfida del 16 maggio 2004 che vide anche il ritiro dalle scene di Roberto Baggio. La sua esperienza in Italia si concluderà comunque con la conquista di un’altra Champions League, di uno Scudetto, una Coppa Italia e una Supercoppa Europea.

Redondo oggi. Nonostante l’esperienza maturata da vero e proprio direttore d’orchestra in campo, Redondo non ha intrapreso la carriera da allenatore, a differenza di altri suoi ex compagni di club come Solari, e si è ritirato a vita privata. Tuttavia la passione per il calcio non è tramontata ed è possibile ammirarne ancora le gesta da atleta in qualche match tra vecchie glorie.

La carriera con l’Albiceleste. Come spesso accade in Argentina a chi ha la qualità di un numero 10 – vive di luci ed ombre. Sul campo Redondo conquista la Copa America edizione 1993 e si rende protagonista di un gol memorabile, l’unico nella sua esperienza in Nazionale, contro il Paraguay in un match valido per le qualificazioni al Mondiale di Usa 1994. Tuttavia il talento sudamericano non prese parte all’edizione dei Campionati del Mondo del 1990 e 1998, in quest’ultimo caso per il taglio di capelli non gradito all’allora ct Passarella che aveva espressamente richiesto un look “meno stravagante”. Redondo non modificò né il suo pensiero né tantomeno la sua capigliatura e insieme all’altro “rivoluzionario” Caniggia venne escluso dalla spedizione francese. Il bilancio con la maglia dell’Argentina parla di 1 gol in 28 apparizioni. Tra le righe si intravede il suo più grande rimpianto: non aver vinto la Coppa 1994, quella in cui il mondo intero fu sconvolto dallo stop rifilato a Maradona e in cui l’Argentina – pur presentandosi tra le favorite della competizione – venne eliminata agli ottavi dalla sorprendente Romania di Hagi.

Curiosità su Fernando Redondo. A seguito del suo infortunio in maglia Milan e in mancanza di una chiara tempistica sul suo rientro in campo Redondo si autosospese dallo stipendio, chiedendo al presidente Berlusconi di non percepire alcun emolumento. Il calciatore, infatti, non riteneva giusto venire pagato in un momento in cui non si trovava nelle condizioni migliori per poter giocare a calcio. Redondo non ha partecipato alla rassegna mondiale del 1990, ma in questo caso la decisione venne assunta interamente dal centrocampista argentino, che preferì concludere i suoi studi alla facoltà di Economia e Commercio piuttosto che volare in Italia. Per quanto riguarda le relazioni familiari, Redondo ha sposato Natalia, cugina dell’ex madridista Solari, e anche suo figlio – Fernando Redondo Solari – ha intrapreso la carriera da calciatore, in una posizione leggermente più avanzata rispetto a quella da “volante” ricoperta dal padre in carriera ma con scarsa fortuna avendo disputato una sola gara con il Tigre in Primera Division argentina

 

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